Dopo una cosa come quella che mi è capitata, viene rimescolato e stravolto tutto. Tutte quelle che erano le tue convinzioni, i tuoi punti fermi, le tue priorità, la percezione che avevi di te stessa, degli altri. Le tue opinioni, le tue capacità. Sei stata violentemente disarcionata dalla tua vita. E devi prima rimetterti in piedi, poi cercare di rimettere insieme i pezzi. Soprattutto se riesci a ritrovarli tutti o quasi tutti. Ti accontentersti anche di quasi.
Ho perso memoria e coscienza. Ho perso indipendenza e fiducia. Ho perso coraggio e forza, più tanti altri piccoli frammenti di anima.
Sicuramente queste sono quelle che chiamano opportunità, seconde chance. Guai sprecarle!! Lo so benissimo! Ma sentirselo ripetere senza sosta, non lo so, è diventato odioso. Come: poteva andare peggio, ringrazia che sei viva, DEVI essere felice che sei viva. Abbi pazienza, piano piano, sei empre stata forte e lo sarai ancora. Coraggio! Non piangere! Non lamentarti! Le frasi motivazionali si sprecano. Mettiamoci pure che quello che mi ha quasi uccisa(o uccisa qualche istante), non si vede esternamente. Vedi le loro facce, soprattutto le prime volte che ti incontrano dopo l’incidente. Tutti si aspettano qualche cicatrice o non lo so, e quasi compiaciuti ti dicono senza nessuna empatia: “dai, pensavo peggio” e tu abbozzi un sorriso imbarazzato. Dopo due anni lo vedi e lo percepisci ancora di più e sembra quasi che volontariamente porti avanti la sofferenza e la fragilità di questo “piccolo” intoppo che è accaduto nella tua vita.
Sei arrabbiata come mai prima, sei impaurita come mai prima, sei fragile come mai prima, sei visibilmente vulnerabile come mai prima e sei sensibile come mai prima.
Seti ritrovi combattuta dal voler spiegare e raccontare cosa hai vissuto o tacere. Ma non ci sono praticamente mai dei veri interlocutori pronti ad ascoltarri e ad accoglierti in questa nuova veste, così fragile da andare in mille pezzi, in milioni di frammenti.
Spesso incontri la curiosità, altre volte la noia, altre ancora la presunzione. Ma rarissimi gli sguardi compassionvoli, comprensivi, accoglienti.
Ti ritrovi sola. Uno ad uno li vedi evaporare o sparire direttamente. Sei conscia che la vita scorre via velocemente e pienamente, ance la tua era così. Forse anche prima erano solo centinaia di comparse sul palcoscenico della mia vita, ma oggi che resto l’unica spettatrice e interprete di una vita che non so ancora mettere in scena; sento il gusto metallico dell’ abbandono, quello amaro della solitudine, quello aspro della delusione e il peggiore: quello stucchevole dell’ipocrisia.
So che supererò questa parentesi della mia vita, so che saprò mettere a frutto ciò che mi sta insegnando e mostrando. Ma fino alla consapevolezza devo ancora riordinare, maneggiare e lavorare questa vita che non conosco, non accetto e non capisco ancora.
Digerirò le delusioni, placherò le aspettative, farò tacere le paranoie e i sensi di colpa.
E allora, solo allora potrò dire di essere rinata.
E sarò davvero morta oggi e dimenticata domani.
Anais